Gli elfi domestici servono con devozione la comunità magica
fin da tempi antichissimi. La separazione dai loro padroni è quasi sempre fonte
di traumi.
Da qui il dilemma morale: la libertà può essere imposta?
Le condizioni di vita degli elfi domestici sono paragonabili in toto a quelle degli schiavi. Non hanno diritti che li tutelino nel loro lavoro e sono considerati alla stregua di oggetti di proprietà della famiglia che servono. La loro devozione è tale che venir meno ad uno dei doveri nei confronti dei padroni li porta ad infliggersi punizioni fisiche.
Per l’intera durata della saga non si può fare a meno di guardare a queste creature con simpatia e commiserazione: i modi in cui vengono trattati sono spesso brutali, le loro condizioni di lavoro estreme, i giorni liberi inesistenti.
Non sempre obbediscono di buon cuore ai comandi dei loro padroni, ma non arriverebbero mai a contemplare la possibilità di non farlo: la loro stessa natura li porta ad eseguire gli ordini. L’interesse della comunità magica nei confronti di questo schiavismo legalizzato è inesistente: gli elfi domestici sono servitori invisibili. Tutto ciò porta Hermione a fondare il C.R.E.P.A. (Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e Abbrutiti). La sua iniziativa non riscuote successo e non viene appoggiata neanche da Harry e Ron. Persino Hagrid, noto per il suo amore nei confronti delle creature, consiglia ad Hermione di lasciar perdere
« E’ nella loro natura curare gli umani, sono fatti così, capito? Li fai infelici se ci porti via il loro lavoro, e li insulti se provi a pagarli » .
Harry Potter e il Calice di Fuoco, capitolo 16
Non resta che chiederci: la libertà è un diritto naturale a cui si può rinunciare? Oppure ogni creatura senziente, in quanto tale, ha il dovere di essere libera?
Quando la libertà lacera il cuore: il caso di Winky
Ne “Il Calice di Fuoco” il lettore ha modo di vedere cosa può accadere ad un elfo domestico “licenziato” dal proprio padrone. Bartemius Crouch allontana Winky dopo l’attacco dei Mangiamorte alla Coppa del Mondo, poiché l’elfa è stata trovata in possesso della bacchetta responsabile dell’incanto Morsmordre.
Nonostante il trattamento brutale e ingiusto che il suo padrone le riserva pubblicamente, la liberazione affligge Winky al punto tale da portarla a ridursi all’alcolismo.
Sebbene si trovi al sicuro tra le mura di Hogwarts, in compagnia di altri elfi domestici, la povera creatura non può fare a meno che piangere l’assenza dei suoi padroni. Per lei infatti il fatto di essere stata licenziata rappresenta la più tremenda delle vergogne. Se il C.R.E.P.A. avesse effettivamente raggiungo i suoi obiettivi e la libertà fosse stata imposta anche al resto degli elfi, la comunità magica sarebbe stata piena zeppa di Winky: elfi disperati, senza più uno scopo nella vita.
E’ corretto costringere delle creature senzienti ad essere libere, anche qualora non lo vogliano? Oppure anche questa è, in un certo senso, una velata forma di discriminazione? Proprio in quanto esseri dotati di coscienza e parola, bisognerebbe prestare ascolto all’opinione degli elfi stessi.
Dobby: esempio da seguire o eccezione alla regola?
L’elfo che tutti siamo abituati a conoscere, in realtà, ha ben poco di “domestico”. Dobby non rappresenta, come ci si potrebbe augurare, un esempio e una fonte d’ispirazione per gli altri elfi, la sua storia non fa sì che essi sviluppino un pensiero ribelle e prendano a lottare per i loro diritti. Al contrario, viene considerato da loro un poco di buono, una macchia indelebile sulla dignità dell’intera specie.
Fin dal momento in cui Lucius Malfoy lo ha inconsapevolmente liberato, Dobby è stato padrone della sua vita: ha scelto infatti di continuare a lavorare a Hogwarts, dove Silente gli offre un salario per i suoi servizi. In questa nuova avventura porta con sé anche Winky, nella speranza che possa riprendersi dal trauma della liberazione subita. Quest’ultima, tuttavia, disprezza la mentalità di Dobby al pari degli altri elfi.
« Winky è un’elfa caduta in disgrazia, ma Winky non si fa ancora pagare! » strillò
« Winky non è caduta così in basso! »Harry Potter e il Calice di Fuoco, capitolo 21
Da elfo libero, Dobby muore comunque per salvare dei maghi. Il suo sacrificio permette a Harry e ai suoi amici non soltanto di fuggire dalla prigionia di Villa Malfoy, ma per il protagonista è un momento di vera illuminazione. Mentre scava la tomba per seppellire l’elfo, infatti, abbandona totalmente la tentazione di inseguire i Doni per concentrarsi su un unico obiettivo: distruggere gli Horcrux. Nel momento in cui seppellisce Dobby, Harry rinuncia alla tentazione del potere che ha tratto in inganno molti maghi, compreso Silente.
Harry e Dobby non sono, però, l’unico esempio di quanto forte possa essere un legame tra un elfo e un mago. Ne conosciamo almeno un altro.
Kreacher e Regulus: una storia di amicizia che vince la morte
Per quanto ne sappiamo, l’idea di libertà non è mai stata contemplata da Kreacher. Elfo domestico dagli ideali bigotti, viene disprezzato da gran parte dei personaggi con cui interagisce durante la saga. L’unica che tenta di difenderlo è, naturalmente, Hermione, ma tutto ciò che ricava da Kreacher sono insulti rivolti alle sue origini babbane.
Solo nell’ultimo libro si apprende la tragicità della storia di quest’elfo, costretto in passato ad assistere impotente alla morte del suo padrone: Regulus Black, fratello minore di Sirius nonché Mangiamorte pentito. E’ proprio l’orribile trattamento che Voldemort infligge al suo amico elfo a convincere Regulus a ribellarsi, facendo promettere a Kreacher che avrebbe distrutto il medaglione-horcrux.
Kreacher non ci riuscirà mai, e il senso di colpa lo accompagnerà fino a quando, condottiero del piccolo esercito di elfi domestici di Hogwarts, combatterà i Mangiamorte in suo nome.
La storia di Kreacher e Regulus insegna come il rapporto che lega un elfo e un mago non sia necessariamente quello di uno schiavo e il suo padrone: può essere animato un sentimento di amicizia che, in certi casi, trascende la morte. E mette in ginocchio i maghi oscuri.
La volontà degli elfi domestici è dunque da rispettare, e il rapporto che lega queste creature ai maghi può essere di amicizia e affetto sincero. Tuttavia viene da chiedersi come un essere senziente possa essere, per sua stessa natura, portato alla schiavitù.
La schiavitù esiste ed è naturale: Aristotele incontra gli elfi domestici
Se chiedessimo al celeberrimo filosofo greco se sia giusto o meno tenere sotto schiavitù gli elfi domestici, non ci sarebbe alcun dubbio sulla sua risposta: secondo lui la natura ha creato gli schiavi e gli animali domestici affinché servano i loro padroni. Questi ultimi avrebbero infatti hanno una mente superiore e corpi inadatti allo sforzo fisico, il quale deve essere delegato a coloro che sono, per loro stessa natura, in grado di sopportarlo. Artistotele afferma quindi che l’esistenza degli schiavi è nell’ordine delle cose, e che questi traggono beneficio dalla loro condizione: se ogni creatura si realizza nel vivere secondo la sua natura e gli schiavi, proprio per natura, sono portati a servire, allora è giusto per loro essere tali.
Questo concetto, così lontano dal pensiero del lettore moderno, sembra essere radicato nella mente degli elfi come in quella dei maghi. L’elfo domestico troverà la sua completa realizzazione solo nel momento in cui avrà obbedito agli ordini che il suo padrone gli ha impartito: piaccia o no, questa è la loro natura. Imporre la libertà, dopotutto, non equivale forse ad infrangere la libertà stessa di un individuo di scegliere la schiavitù?
Nonostante l’imposizione della libertà sia sbagliata, bisogna augurarsi che la comunità magica si sensibilizzi e i maltrattamenti ai danni di queste creature cessino.
Alla fine della saga, purtroppo, la condizione degli elfi domestici rimane invariata.
Lo stesso Harry, poco prima dell’epilogo, dedica un pensiero a Kreacher: non si domanda se stia bene o sia rimasto ferito nella battaglia, ma se possa portargli un panino.
Sicuramente c’è ancora molto lavoro da fare.