Quando si parla dei più celebri antagonisti delle saghe cinematografiche, fumettistiche e videoludiche, è naturale che, fra i tanti, si citino il principe della criminalità di Gotham e il Signore Oscuro dell’universo di J.K. Rowling.
Tuttavia, al di là dell’imponenza e della fama, si può affermare che Joker e Voldemort abbiano realmente qualcosa in comune?
Il 3 Ottobre del 2019 è uscito nelle sale italiane il “Joker” di Todd Philips: un’opera magnifica che si svela già nei suoi primi fotogrammi, dai quali è evidente come il fulcro della pellicola sia l’involuzione del carattere principale.
Il paragone con il villain della saga “Harry Potter” è dunque immediato. Se, infatti, il binomio Arthur Fleck-Joker domina il film premiato con il leone d’oro a Venezia, quello Tom Riddle-Lord Voldemort cattura l’intero ciclo narrativo “potteriano”.
Quest’ultimo, Arthur Fleck, presentatoci come un angelico portatore di sorrisi, è costretto, a causa del contatto con una realtà indisponente, a subire una metamorfosi in un isterico demone chiamato Joker.
Scopriamo insieme le somiglianze tra i due nei prossimi paragrafi. Attenzione, però, agli spoilers.
Tom Riddle Sr. e Penny Fleck: genitori a confronto
Come racconta il capitolo 17 (“Un ricordo Lumacoso”) di “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, durante il periodo estivo precedente il suo sesto anno a Hogwarts, Tom Orvoloson Riddle decide di approfondire la propria storia personale.
A Little Hangleton incontra suo zio materno, Murfin Gaunt, il quale gli racconta quanto c’è da sapere sul suo babbano padre, Tom Riddle Senior. Una volta conosciuta la verità, il giovane Lord Voldemort si reca nella “casa grande lassù”, per eliminare i suoi nonni paterni e ovviamente il succitato padre babbano. Si libera, così, di ogni Riddle impuro.
Come, invece, ci racconta la macchina da presa di Todd Philips, Arthur Fleck è un figlio (anch’egli senza padre) davvero premuroso nei confronti della madre: si prende cura di lei quotidianamente, le porta da mangiare, le fa il bagno, l’accompagna a letto e veglia su di lei quando incorre in un ictus.
Tuttavia, per una circostanza fortuita o, se vogliamo, “sfortuita”, il protagonista del film viene a sapere che Penny Fleck, considerata sua madre sino a quel giorno, lo ha in realtà adottato, consentendo persino che uno dei suoi fidanzati abusasse di lui.
Distrutto dalla notizia, Arthur si reca nella stanza d’ospedale della donna, dove, ormai scevro da limiti morali, soffoca la stessa con un cuscino. Da questo momento in poi Arthur Fleck non c’è più. La metamorfosi è compiuta: è nato Joker.
I protagonisti dell’articolo, dunque, sono entrambi assassini di genitori, i cui omicidi sono guidati da una sete di vendetta nutrita dalla solitudine e dall’abbandono.
Un nome, una garanzia
Prima di uccidere sua madre, Arthur dichiara l’odio che ha sempre covato per il suo cognome, decidendo da lì a poco di farne definitivamente a meno.
Allo stesso modo, come afferma in “Harry Potter e la camera dei segreti”, Tom fa la scelta di cambiare il proprio nome in “Lord Voldemort”, non sopportando quell’orrendo nominativo da babbano che suo padre gli aveva lasciato.
Rigettare la propria identità ufficiale, quindi, significa ricreare sé stessi, diventare ciò che si è veramente. Dopotutto, non serve neppure ragionare troppo per trovare una soluzione efficace.
Tom Orvoloson Riddle si trasforma in “Lord Voldemort” anagrammando il proprio nome, dando quindi nuova linfa a qualcosa che gli era appartenuto per legge. Arthur Fleck, seguendo un principio simile, rinasce come “Joker” (burlone, pagliaccio), accettando il ruolo che aveva sempre investito senza ottenere alcun risultato.
Entrambi ritrovano il proprio futuro nel passato. Voldemort ha bisogno di oggetti legati al suo trascorso per creare Horcrux e raggiungere l’immortalità. Arthur, invece, fa del suo simbolo quella stessa risata per la quale aveva sofferto profondamente. Di fatto, impressa sul volto con il sangue, quella rara patologia diviene un vero e proprio marchio. Trasformarsi, infatti, non significa dimenticare chi si è stati.
Pistola e bacchetta: il modus operandi
Il primo e il secondo muoiono sul colpo, mentre il terzo, con una gamba fuori uso, tenta la fuga. Arthur, qui più Joker che mai, lo insegue astutamente, per poi scaricargli il caricatore sulla schiena.
Non soltanto, dunque, uccide, ma infierisce sul cadavere come se potesse e volesse fargli ancora del male. Lo stesso accade sul finale con Randall prima e Murrey poi.
Facendo un rapido excursus degli omicidi commessi da Lord Voldemort, invece, ci si rende facilmente conto di quanto quest’ultimo sia compito nel suo modo d’agire. Lord Voldemort passa come il tristo mietitore; prima, infatti, seleziona la sua vittima, poi la raggiunge e infine la uccide rapidamente con un “Avada Kedavra”, senza curarsi del destino del cadavere.
La bacchetta, insomma, differentemente dalla pistola, emette un solo colpo. Come dimostra il triplice omicidio a casa Riddle, infatti, Voldemort agisce meticolosamente, evitando di lasciare tracce.
In conclusione, si può dire che i due siano simili?
L’obiettivo del signore oscuro è il raggiungimento del potere, mentre quello di Joker, quantomeno nella versione di Philips, è duplice. Se da un lato, infatti, il pagliaccio persegue la vendetta, dall’altro anela alla rivoluzione e al caos che da essa derivano. Punisce, quindi, tutti coloro che lo hanno canzonato e risparmia chi, come Gary, gli ha riservato un trattamento dolcemente amichevole.
Joker, dunque, non riuscendo a sopportare l’indifferenza, l’arroganza e la bestialità, decide di ribellarsi, di trasformare la tragedia mondana in una commedia sempre esilarante.
Si può dire, quindi, che Joker e Voldemort siano due prodotti di un mondo senz’amore, un mondo pronto ad accogliere il diverso solo a parole, ma ben distante dall’accettarlo e dall’apprezzarlo realmente. Tuttavia, al netto delle somiglianze delle proprie storie personali, fra i due rimane una lapalissiana divergenza di intenti.
Joker ammette la sua colpevolezza in diretta tv, non avendo “più nulla da perdere”, Voldemort, di contro, fa di tutto per preservarsi e per raggiungere il suo scopo.
I due protagonisti di questo articolo, allora, risultano affini per via di numerose caratteristiche in comune, ma sostanzialmente differenti per ciò che rappresentano.
Non si può affermare, perciò, che siano due facce della stessa medaglia.
Tuttavia queste sono le nostre conclusioni: voi cosa ne pensate?