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Bonnie Wright intervista Evanna Lynch

25 Febbraio 2017 gugl-como 12 min read
Bonnie Wright intervista Evanna Lynch

Bonnie Wright intervista Evanna Lynch

25 Febbraio 2017 Butterbeer 12 min read

 Nel 2017 Bonnie Wright ha intervistato l’amica Evanna Lynch riguardo a Harry Potter, i film indipendenti e i loro impegni, tra regia e recitazione.

Evanna Lynch entrò nell’industria cinematografica in un modo del tutto particolare. Quando era nel pieno dei suoi anni da teenager, l’attrice irlandese si aggiudicò il ruolo di Luna Lovegood negli ultimi quattro film di Harry Potter tramite un audizione aperta.

Mi ci è voluto un po’ per realizzare che ero figa abbastanza per essere amica degli altri ragazzi sul set. Avevo un’accompagnatrice. Tutti gli altri avevano i loro genitori che li lasciavano fare, ma io avevo questa strana e severa accompagnatrice. Lei non aveva il permesso di farmi uscire dal suo campo visivo per tutto il tempo, e così ha fatto… Mi sono sempre sentita molto in imbarazzo.

Evanna Lynch

Progetto in corso

Allora ventiseienne, la Lynch stava promuovendo il suo ultimo film, My Name is Emily, film indie irlandese, nel quale lei recitava nel ruolo della protagonista Emily.
Dopo la morte della madre e il ricovero del padre, Emily, una giovane ragazza che vive in affidamento, intraprende un viaggio on the road con il suo compagno di classe Arden. Insieme, sperano di riunire Emily con la sua unica parente rimasta.

Girato in sei settimane, My Name is Emily era il primo film dello scrittore e regista Simon Fitzmaurice. Dopo aver presentato il suo secondo cortometraggio, The Sound of People, al Sundance Film Festival nel 2008, a Fitzmaurice venne diagnosticata la SLA. Rimasto paralizzato, ha scritto e diretto My Name is Emily usando esclusivamente i suoi occhi.

Nel febbraio 2017 la Lynch si è incontrata con la sua cara amica e collega Bonnie Wright per discutere degli anni che hanno condiviso sul set, del portare avanti un intero film per la prima volta come protagonista, e del lavoro con Fitzmaurice.


L’intervista a Evanna Lynch

Evanna Lynch in "My name is Emily"

Inizio della carriera di Evanna Lynch

BONNIE WRIGHT: Inizierò con una domanda collegata al mondo di Harry Potter. Abbiamo finito di girare i film nello stesso momento, e abbiamo iniziato un nuovo capitolo della nostra vita nello stesso modo, ma poi ognuno è andato per la propria strada. Io so che le scelte che ho fatto hanno cambiato il corso della mia vita. Mi interesserebbe sapere quali sono state le scelte che ti hanno portato dove sei ora col tuo lavoro e con te stessa, e come queste scelte sono state dettate dall’esperienza che avevi appena avuto.

EVANNA LYNCH: Ho sempre amato molto recitare. Lo facevo prima di Harry Potter, e penso di aver avuto una spinta nell’industria cinematografica grazie al ruolo nella saga. Non avevo mai lavorato prima, quindi non ero molto abituata all’attività frenetica. Non mi era chiaro il concetto. [ride] Dopo i film, ebbi un agente che mi incoraggiò ad andare all’università, non di studiare recitazione. Era tutto un “Non andare alla scuola di recitazione. Non ne hai bisogno.”. A posteriori, però, avrei voluto che mi avesse spinto ad andare. Poi c’è stata la frustrazione: So che voglio recitare, che motivo c’è di spendere tutto questo tempo in università? Era come se stessi trattenendo qualcosa. I miei fratelli hanno cambiato corsi molte volte, e io dicevo: So davvero cosa voglio fare, che è praticamente un dono. Dovrei continuare a dedicarmici.

Così sono andata a L.A., ho ingaggiato un manager e ho incontrato qualche persona che mi incoraggiasse ad andarci, erano tutti “Lì è dove tutti hanno una chance, non è così esclusiva come Londra”. Volevo andarci per tre mesi ma ormai continuo a restare. Mi piace la comunità degli artisti, che è così diversa da quella irlandese. Mi piace molto il fatto che a L.A. se lavori duro, puoi arrivare ovunque tu voglia.


Un nuovo inizio

WRIGHT: Senti di essere in una città dove puoi crearti una nuova identità per te stessa, che alla fine rischia di essere stata definita dall’aver partecipato alla saga? Pensi di avere un’altra chance per essere semplicemente tu? O ti senti come se dovessi portarti dietro questa storia ancora per un po’?

LYNCH: Mi fanno sempre questa domanda: Harry Potter ti ha aiutato? È stato più un aiuto o un ostacolo? E io penso sempre sia stato un aiuto, spetta a me ridefinirlo. Sicuramente i direttori dei casting ora hanno dei preconcetti, ma ti apre anche molte porte, è stata una grossa produzione. Non ero il tipo di attrice intrepida che voleva semplicemente che la gente la conoscesse, così ho pensato che avere quell’esperienza e quel passato è stato d’aiuto. A L.A. devi essere determinato. Devi solo mirare a qualcosa.

WRIGHT: È l’opposto della nostra mentalità britannico-irlandese.

LYNCH: Sì, quella cosa delle scuse.

WRIGHT: Non mi sarei innamorata della regia se non fosse stato per quell’esperienza. Penso che rispetti sempre quell’esperienza e poi Ok, che cosa sto facendo di buono con quell’esperienza? Per le altre persone e per me stessa?

LYNCH: Mi sono certamente sentita disillusa per un po’, probabilmente per uno o due anni dopo aver smesso di girare i film, quando ho realizzato che non era già stato tutto scritto. Facevo le audizioni per molti pilot e mi sentivo come Non guarderei nemmeno queste cose. Ho iniziato a sentire che se non avessi avuto Harry Potter, se avessi spinto la mia strada verso il massimo in maniera diversa, penso che sarei stata apprezzata per la scrittura.


Il lavoro di un’attrice

WRIGHT: Tu capisci e rispetti l’importanza dello scrivere bene. Essendo ora passata alla parte più pratica della realizzazione di un film e alla regia, sono così grata che tutti quelli con cui abbiamo lavorato, in ogni ambito, fossero semplicemente spettacolari nel loro mestiere. Io quindi ne ho davvero un grande rispetto e credo che tu debba avere un’integrità, anche in un mondo che è essenzialmente un business. Penso sia molto importante farsi piacere il materiale e i collaboratori, vuoi che siano davvero coinvolti nella produzione in prima persona per via di una ragione creativa.

LYNCH: Ma non lo avevo capito, quando ho iniziato nuovi progetti, che la gente avrebbe detto certe cose e che non se le sarebbe rimangiate. [ride] Le persone hanno grandi idee, ma non hanno l’esperienza. Non ho mai davvero realizzato tutto il lavoro che Jo [Rowling] ha fatto per noi. Potrei semplicemente calarmi nel ruolo e la storia passata del personaggio e tutti i dettagli verrebbero da sé.

WRIGHT: Ma questo poi richiede a noi un maggiore impegno da un punto di vista recitativo?

LYNCH: È vero. Ed è questa la cosa divertente del prendere parte ai film indipendenti, non ci sono così tante persone che si occupano di te. Devi davvero costruirti il ruolo, devi essere più di un autore. Mi sembra come se in Harry Potter fossi più un interprete.


Il rapporto della Lynch con i personaggi

Lynch in My name is Emily

WRIGHT: Dopo questi pochi anni, quali cose hai deciso che non sono negoziabili come attrice che sceglie il proprio materiale? Per esempio, in My Name is Emily cosa c’era nella sceneggiatura che risaltava rispetto ad altre cose che hai letto che ti sono sembrate un po’ piatte?

LYNCH: Forse sono un’attrice pigra. [ride] Forse è ancora la scrittura. Il modo di scrivere di Simon [Fitzmaurice] è davvero bello. Era molto poetico e stimolante. Penso ci siano molti scrittori che se la cavano anche senza avere il dono della scrittura. Ho partecipato ad alcuni corsi di scrittura a L.A. e sono molto concentrati sulla trama, la struttura e tutto il resto.

WRIGHT: È divertente. Tracciando l’esperienza che ho adesso della regia, secondo me, la mia grande forza è la mia abilità a comunicare con gli attori e quindi rendere i personaggi davvero importanti. So che posso fallire nella trama e negli eventi, perché in molti film che adoro non succede quasi niente. È più un momento con le persone, che è esattamente ciò su cui si basa My Name is Emily.

LYNCH: È una cosa che ho sempre trovato in David Yates, lui è davvero bravo a lavorare con gli attori perché ci dà sempre il merito di sapere tutto sul personaggio più di chiunque altro. Non ha mi ha mai imposto nessuna direttiva. Fa continuamente domande fino a che non si trovano dei punti in comune.


L’esperienza con Yates a confronto

WRIGHT: In Harry Potter, David Yates era il quarto regista che mi dirigeva nel ruolo di Ginny, altro motivo per cui il tutto è stato sempre interessante. Penso inoltre che i film indipendenti diano ai registi più spazio per avere una relazione più personale con l’attore. Con David Yates, questa cosa era una parte del suo modo di essere. Persino fuori dalla regia, lui ti parla a quattr’occhi e in modo molto intimo durante la conversazione, e penso che mi abbia aiutato davvero tanto, anche in mezzo a così tante persone sul set.

LYNCH: Dopo Harry Potter avrei voluto lavorare con registi dove avrei avuto il ruolo solo per il fatto di aver fatto parte della saga, avere momenti dove ci sarebbe stata un’incomprensione e avere dei dubbi tipo Sono per caso un’attrice terribile?. Mi ricordo che tenni un’audizione a teatro e il tizio non mi guardava neanche, non si impegnava. Ho chiamato la mia insegnante di recitazione ed ero tipo Non posso farlo. È un regista molto conosciuto e non riesco a legare con lui. E lei mi ha risposto “Questo non è il tuo modo di legare con una persona”. Ci sono diversi modi di dirigere diversi attori.


Il punto di vista di Bonnie

WRIGHT: È anche difficile perché vuoi metterti alla prova e vuoi che ogni progetto sia differente. Vorresti essere tipo Questa magari non è la mia prima scelta di comunicazione, ma su cosa siamo d’accordo e fin dove la collaborazione funziona?. Qualche volta semplicemente non funziona e non ti godi l’esperienza, e penso che sia quello invece che deve necessariamente accadere. I film non possono essere realizzati senza l’aiuto di tutti, deve essere un gioco di squadra, devi collaborare.

Penso che le persone a volte usino di proposito questo modo per indurti in uno stato emotivo per il personaggio, manipolando e mettendo pressione agli attori per poter tirare fuori una performance emotiva. Penso sia interessante quando devi lasciar uscire chi sei veramente come persona mentre stai recitando. Lo trovavo molto stimolante quando facevo le audizioni perché ero in un’età in cui cercavo ancora di capire chi fossi. Ho trovato molto difficile lasciare fuori Bonnie da una sala audizioni. Questo è il motivo per cui sono passata alla regia, che per me è una migliore forma di terapia rispetto magari al recitare: in che modo scriviamo i personaggi o come scegliamo i personaggi come il processo di capire noi stessi?


Il ruolo di Emily

Evanna Lynch

WRIGHT: [In My Name is Emily] Ero molto interessata al rapporto che Emily ha con il padre e mi chiedevo se il processo che lei attraversa ha incontrato appieno il tuo favore. Questa idea che abbiamo di mettere i nostri genitori su un piedistallo, noi li vediamo solo come mamma e papà. Ma c’è un momento in cui impariamo di più su di loro come individui e iniziamo a vedere sia i loro difetti sia i loro punti di forza. Credo che il padre di Emily la tradisca, lui non è lì per lei come un papà né letteralmente, né fisicamente. Per quello che può capirne lei, lui non è capace di esserci per lei a causa della sua malattia mentale. Ma lei poi realizza che in realtà è stata una scelta del padre, e lui avrebbe potuto esserci per lei.

Cosa pensi che in quel momento – perché io l’ho trovato davvero un bel momento tra due personaggi – sia scattato in lei affinché lo perdonasse piuttosto rapidamente e con dignità? In che modo lui la stava ingannando? In che modo pensi che lei sia giunta in modo così rapido a quel perdono?

LYNCH: Quello che la irrita per l’intero film, è che lui l’abbia chiusa fuori; lei non ha idea cosa lui stia attraversando. Posso indovinare perché lei si sia arrabbiata così tanto quando ha in realtà realizzato che lui aveva deciso di tagliarla fuori perché, per tutta la sua vita, lui l’ha trattata come un’adulta. Lui ha parlato di questi concetti filosofici piuttosto complicati con lei facendo in modo che lei ci credesse, ed è così che è cresciuta. Non c’è alcuna linea di demarcazione tra lei bambina e lei da adulta.

E poi lui all’improvviso la ferma dal poter entrare in tutto questo, e penso che lei si sia sentita tradita. Tutto quello che vuole è la verità. Lei si sente così non rispettata e abbandonata perché lui non la lascia entrare nel suo dolore, che in realtà stanno condividendo. Loro stanno attraversando la stessa esperienza, ma lui fallisce. Penso che la ragione per cui lei riesce a gestirlo sia perché lo conosce e lui mostra la sua vulnerabilità, che è tutto quello che lei vuole. Lei non si aspetta che lui sia perfetto. Non penso che lei sia così ingenua.

Penso che abbiano qualcosa di più di un’amicizia. Hanno un’affinità. Lei era più come la sua consigliera intellettuale. Lui va da lei e dice “Mi dispiace, sono a pezzi. Non so cosa fare. Non so come uscirne”. Questo è tutto quello che le serviva perché potesse rientrare nel rapporto con lui in modo da attraversare quel momento insieme.

WRIGHT: Penso questa sia una cosa interessante. Come intellettuale, come tu dici, lui condivide tutte le sue idee con lei e la rispetta davvero e non la vede come lo stereotipo di una bambina. Tuttavia, in un certo senso, tutto quello che lei voleva a quel tempo era essere solo una bambina. Attraverso quel momento di lutto, ha quasi dovuto diventare grande più velocemente del previsto.

LYNCH: Lei voleva solo essere supportata e amata. Non fu per la morte della madre, ma per tutto quello che ne seguì perché lui non ammetteva il lutto e il suo vero dolore. Lui fingeva che andasse tutto bene e che fosse possibile spiegare tutto, che anche la morte si potesse spiegare.


La Lynch tra indie e grosse produzioni

Lynch

WRIGHT: Tornando alle differenze tra i film indipendenti e le grosse produzioni, pensi che essere in questo film ti abbia permesso di creare davvero un diverso tipo di intimità con tutto il cast e la crew?  Questo ha migliorato il lavoro con loro? O sono stati elementi di questo tipo che ti sono davvero mancati nel girare Harry Potter?

LYNCH: Ci sono pro e contro in entrambi. Mi sembra che la differenza principale per un attore tra i film in studio e quelli indipendenti siano le opportunità di mandare tutto all’aria. In Harry Potter c’erano moltissime persone che si prendevano cura di te, tra guardaroba, trucco, capelli e per correggerti, che non potevi fare casini. Il risultato finale era figo e la magia è fantastica, ma sai bene che ci avevano lavorato molte persone.

Quando ho iniziato a fare film indipendenti, ero elettrizzata dal fatto di dover lottare di più per me stessa, che potevo effettivamente sbagliare. Era più stressante, ma più gratificante da un punto di vista artistico. Inoltre, [in Harry Potter] avevamo il lusso del tempo. È quello che mi manca davvero dei film in studio. Ora faccio uno sbaglio e sono tipo Cosa? Non possiamo farne un’altra? Solo una? e gli altri erano tutti No! Sbrigati, vai Avanti!. Dovevi concentrarti sulla tua performance e fidarti del regista.


Evanna e il lavoro per diventare Emily

Evanna Lynch in Emily

WRIGHT: Quando stai facendo un film della portata di Harry Potter, riponi la tua fiducia in molte cose, nei produttori, nel cast, nella crew con cui dovrai lavorare per anni, nella sceneggiatura, in cui già credi perché hai amato i libri. Se qualcosa si rivela non essere un granché, la scena viene girata di nuovo. Con i produttori di film indipendenti invece, riponi molta fiducia nel regista e negli altri attori. Questo, essenzialmente, è il tuo film. Hai sentito di dover dare al personaggio di Emily molta libertà?

LYNCH: È stato decisamente un bel ruolo. Non ho avuto molti ruoli in cui leggi la sceneggiatura e sembra che le parole stiano uscendo dalla tua bocca. È così naturale. Ci sono state alcune sceneggiature in cui ho dovuto lavorare duramente affinché alcune parole suonassero naturali. Con lei sapevo che quello che lei diceva, era già dentro di me o una cosa del genere. Ma Simon voleva davvero parlarne. Lui comunica al meglio attraverso email, così è questo il modo in cui lui l’ha conosciuta. Era come se ne fossimo ossessionati entrambi.

A causa delle condizioni di Simon, c’era molto silenzio; semplicemente stavi seduto e aspettavi la risposta. Ho realizzato in quei momenti quanto fossi insicura sul recitare, riguardo alle cose personali.

WRIGHT: Anche l’idea del linguaggio… Dici che stai lavorando con un regista italiano e tutto quello che dici deve essere tradotto. È interessante quanto sia importante il linguaggio che usiamo e come diventiamo concisi nello spiegare dove si deve arrivare.

LYNCH: Sì, siamo entrati in sintonia e ho iniziato a fidarmi di più di lui. Ho smesso di cercare così tanto la sua approvazione. Ho capito che è molto più eccitante come attore fare delle scelte. Con Simon la cosa da capire subito è che lui non ha tempo per stare attento alle parole che usa. Lui era diretto e qualche volta mi sono sentita ferita. Ma è molto più fortificante se qualcuno dice semplicemente quello che prova. Penso che poi questo sia emerso e sia visibile nel personaggio di Emily. Amo la battuta “Perché sorridi nelle foto? Perché c’è sempre questa forzatura di essere felici?”. Lui non ha tempo per questo; in realtà per esprimere se stesso e la sua verità, lui deve dire esattamente quello che prova.

Qui potete trovare la versione originale in inglese.

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