Come abbiamo iniziato a scoprire nella parte 1 di questo articolo, la botanica, sebbene non sia la stessa cosa dell’erbologia, è una disciplina affascinante e piena di sorprese.
Molte piante che abbiamo imparato a conoscere nel mondo magico hanno dei corrispettivi babbani che non sono certo da meno per quanto riguarda proprietà e capacità. Eccoci dunque qui per parlare nuovamente di altre strabilianti specie vegetali!
Mandragola
«Oggi rinvaseremo le mandragole. Allora, chi sa dirmi le proprietà della mandragola?»
[…] «La mandragola è un efficace ricostituente» disse Hermione che, come al solito, sembrava avere inghiottito tutto il libro di testo. «Si usa per riportare nella condizione originale le persone che sono state trasfigurate o sottoposte a un incantesimo».
«Ottimo. Dieci punti per il Grifondoro» disse la professoressa Sprite. «[…] Ma è anche pericolosa. Chi sa dirmi perché?»
«Il pianto della mandragola è fatale a chiunque lo ascolti» disse prontamente [Hermione].La Camera dei Segreti, cap. 6
Iniziamo proprio da una delle piante più note da noi potterhead: la mandragola. Le proprietà di questa pianta, spiegateci nelle lezioni di erbologia di libri e film, non sono – come forse alcuni sanno – un’invenzione di J.K. Rowling. Infatti, il folklore di molti paesi europei associa proprietà magiche a questo vegetale, soprattutto alla sua radice che ha un aspetto antropomorfo.

Tuttavia, come spesso capita, nelle leggende si celano parti di verità. La mandragola infatti produce delle sostanze biologicamente attive dette alcaloidi. Questi composti, che rientrano tra i cosiddetti detti metaboliti secondari, servono alla pianta per svolgere delle funzioni accessorie. In questo caso, dato che gli alcaloidi prodotti dalla mandragola sono velenosi, la pianta può difendersi dagli erbivori.
Le proprietà di queste sostanze sono ben conosciute fin dall’antichità. Ci sono testimonianze dell’utilizzo della mandragola già nelle storie di Omero, così come negli scritti di Platone e Aristotele, passando poi per Ippocrate e Demostene, arrivando infine a dottori e scienziati medievali come Isidoro di Siviglia, Teodorico da Cervia e altri ancora. Come mai dunque tutti questi dotti uomini del passato si interessavano ad una pianta velenosa?

Ebbene, una proprietà molto interessante di molti veleni – e gli alcaloidi della mandragola rientrano tra questi – è che, nelle giuste dosi, possono essere medicinali. I principi attivi estratti dalla radice di mandragola (atropina, iosciamina e scopolamina) venivano infatti usati per indurre il sonno, provocare incoscienza e indifferenza al dolore, o come antispasmodici e antiemetici.
Attenzione però ad utilizzare appunto le giuste dosi! Nelle quantità sbagliate infatti queste sostanze possono provocare allucinazioni, amnesia, difficoltà respiratorie, midriasi, ridotta salivazione e ipermobilità dello stomaco.

Mimbulus mimbletonia
…[Neville] estrasse quello che sembrava un piccolo cactus grigio in un vasetto, ma invece che di spine, era coperto di bolle.
«Mimbulus mimbletonia» disse orgoglioso. […] «È molto, molto rara» spiegò Neville con un gran sorriso. […] «Possiede uno straordinario meccanismo difensivo.[…]»
Tenendo la sua Mimbulus mimbletonia davanti agli occhi, la lingua fra i denti, Neville affondò nel cactus la punta della piuma. […] Harry, che aveva le mani occupate per tenere Oscar, ricevette uno schizzo in piena faccia. Puzzava di letame rancido.L’Ordine della Fenice, cap. 10
Ecco la Mimbulus mimbletonia, l’adorata pianta di Neville che, dopo 5 anni, gli ha finalmente permesso di ricordare la parola d’ordine dei dormitori di Grifondoro. La meravigliosa pianta che ha quasi rimpiazzato Oscar nel cuore di Neville.
La fantastica pianta che, ahimé, è appunto fantastica. Purtroppo qui incorriamo in una differenza tra erbologia e botanica: non esiste una pianta che spara puzzolinfa sui suoi aggressori. Questo meccanismo di difesa è piuttosto diffuso tra gli animali (puzzole, cimici, ecc) ma le piante… ragionano in modo diverso da noi animali.

No, le piante non ragionano, non nel senso in cui lo intendiamo noi per lo meno. Però hanno evoluto dei meccanismi di difesa e attrazione che sembrano proprio il risultato di un ragionamento. Ma perché questo “ragionamento” è diverso dai nostri.
Beh, in generale quelli che noi consideriamo profumi sono usati dalle piante come sostanze repellenti (nelle piante aromatiche ad esempio) per tenere alla larga i fitofagi. Le puzze invece sono, in molti casi, degli attrattivi.
E chi mai sarà attirato da una pianta che puzza di “letame rancido”? Ovviamente degli animali che sono attirati dal vero e proprio letame! Ci sono diverse piante che diffondono un odore simile a quello del letame o della materia organica in decomposizione per attirare mosche e coleotteri in modo da far svolgere loro la funzione di impollinatrici. Ebbene sì: questo compito non è delegato solo ad api e farfalle!

Se siete interessati a queste piante puzzolenti potete approfondire l’argomento qui. Noi però faremo un piccolo focus non su una pianta ma su un fungo, un fungo che magari avete già incontrato dato che si trova anche nei boschi italiani: il Phallus impudicus.
No, non è uno scherzo, esiste davvero un fungo con questo nome e basta guardarne un’immagine per capire il perché! Oltre ad avere una forma… particolare, questa specie emana un odore cadaverico davvero disgustoso che riesce a diffondersi nell’aria per parecchi metri.
Come per le piante che cercano gli impollinatori, anche questo fungo emana la sua fragranza a scopo attrattivo. Le mosche e gli altri insetti che si poseranno su di esso credendolo un bel cadavere o un promettente mucchietto di cacca si ritroveranno imbrattati dalla mucillagine puzzolente piena si spore.

Gli animaletti potranno così trasportare le spore a grande distanza e per far nascere tanti piccoli funghetti senza pudore. Insomma, c’è da sperare che non raggiungano le serre di erbologia di Hogwarts!
Algabranchia
«Harry Potter deve mangiare questo, signore!» strillò l’elfo, e s’infilò una mano nella tasca dei pantaloncini per estrarne una pallottola di quelle che sembravano viscide code di ratto di un verde grigiastro. «Appena prima di entrare nel lago, signore… è Algabranchia!»
«A cosa serve?» disse Harry, fissando l’Algabranchia.
«Farà respirare Harry Potter sott’acqua, signore!»Il Calice di Fuoco, cap. 26
Ed eccoci arrivati ad uno dei vegetali più famosi della saga di Harry Potter: l’algabranchia. Anche chi tra noi non ha mai trovato l’erbologia particolarmente interessante di sicuro ricorda il contributo di questa particolare alga nel dispiegarsi della trama di libri e film.
Ma in questo articolo stiamo parlando di botanica oltre che di erbologia, esiste dunque una pianta, un fungo o un’alga babbani in grado di farci crescere branchie e appendici palmate?

Se siete arrivati fino a qua con la lettura probabilmente immaginate già la risposta: no, non c’è un preciso corrispettivo babbano dell’algabranchia. E ahimè non esiste (o almeno non l’abbiamo ancora scoperta) nemmeno una pianta che, se mangiata, sia in grado di farci trattenere il fiato più a lungo o darci altre capacità simili.
Esistono tuttavia delle piante che, sebbene siano piante terrestri che respirano aria, hanno evoluto loro stesse la capacità di respirare anche sott’acqua.
Iniziamo con un ripassino di botanica: sì, le piante respirano. Le piante terrestri, come noi umani, hanno bisogno di ossigeno per bruciare zuccheri e produrre energia, come scarto rilasciano anidride carbonica. Oltre a respirare le piante svolgono un altro processo che invece consuma energia luminosa e anidride carbonica e scarta ossigeno: la fotosintesi clorofilliana.

Questo meccanismo serve a produrre zuccheri che servono alla pianta per respirare e per crescere. Insomma, se una pianta riesce a produrre più energia durante la fotosintesi di quanta ne consumi durante la respirazione, crescerà.
Ora che ci siamo rinfrescati la memoria possiamo proseguire e domandarci: come fanno quindi delle piante che respirano come noi (anche se non con i polmoni ma con gli stomi) a starsene beatamente sott’acqua? Il trucco sta nella superficie idrorepellente evoluta sulla pagina delle foglie da alcune piante che permette di intrappolare una “pellicola” d’aria sulle stesse.
L’idrorepellenza è data sia da microstrutture proprie della pagina fogliare che da nanostrutture dei cristalli di cera che la ricoprono. Dunque quando la pianta viene sommersa rimane una sottile pellicola d’aria sulle foglie che scambia ossigeno con l’acqua permettendo agli stomi di continuare a scambiare ossigeno e anidride carbonica gassose.
Pensate che questo affascinante sistema di respirazione subacquea non è esclusivo al regno vegetale, infatti ci sono molti insetti che utilizzano un meccanismo del tutto simile. Inoltre alcuni insetti “rubano” bolle dalla pellicola d’aria delle foglie sommerse per continuare a respirare senza il bisogno di riemergere.
Insomma, forse questo meccanismo più che l’effetto dell’algabranchia ci potrebbe ricordare l’incantesimo testabolla! Chi volesse approfondire l’argomento può trovare qui l’articolo scientifico completo.

Ed eccoci giunti alla fine di questo viaggio alla scoperta delle somiglianze tra erbologia e botanica. Ovviamente il mondo vegetale babbano è talmente vasto che si potrebbero scrivere interi volumi (e anzi, sono stati scritti) sulle straordinarie abilità di piante, alghe e funghi ma lasceremo a voi il piacere di proseguire con la scoperta!






