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Tra storia e mito: alla ricerca dell’unicorno (parte 2)

11 Maggio 2020 gian-tucc 4 min read

Tra storia e mito: alla ricerca dell’unicorno (parte 2)

11 Maggio 2020 Neville 4 min read

Qual è la storia dell’unicorno? Alla scoperta di una creatura leggendaria antica quanto il mondo, che non ha mai smesso di esercitare il suo fascino. Seconda parte: da Marco Polo ai giorni nostri.

“Brutto da vedersi”: l’unicorno di Marco Polo

Oltre che alle fonti dell’Antichità e ai bestiari medievali (ne abbiamo parlato nella prima parte dell’articolo), una delle più celebri “descrizioni” degli unicorni si deve a Marco Polo (1254-1324), che dedica a queste creature diverse righe del capitolo CLXII de Il Milione, quando racconta delle sue esplorazioni sull’isola che definisce “piccola Giava”, i cui abitanti:

Hanno elefanti selvaggi e unicorni non meno grossi degli elefanti che nel pelame somigliano ai bufali e nelle zampe agli elefanti. L’unicorno ha poi un corno in fronte molto grosso e nero; e vi dirò che egli non si difende con quel corno ma si serve della lingua tutta spinosa e dei ginocchi. La sua testa somiglia a quella del porco selvatico e la porta sempre chinata in basso; ama molto restare tra la melma e il fango; è molto brutto da vedersi e non somiglia affatto all’idea che ne abbiamo noi, né a ciò che diciamo quando lo descriviamo come un animale che si lascia prendere in braccio da una vergine; è proprio l’opposto.

Marco Polo, Il Milione, scritto in italiano da Maria Bellonci, ERI, 1982

Chiaramente, la descrizione fornita da Marco Polo è quella di un rinoceronte di Giava. Comunque sia, al viaggiatore veneziano va riconosciuto il merito di essere stato uno dei primi a fornire una descrizione dell’“unicorno” che si discostasse da quella allegorico-cristiana.

Al di là di questo, dopo il viaggio di Marco Polo in Oriente e la successiva apertura delle porte dell’Asia all’Occidente iniziò una vera e propria caccia spietata all’unicorno. Non contava se esistesse o no: l’importante era ingaggiare la caccia e farne un motivo di fama e prestigio.

Illustrazione tratta da una versione de Il milione, XV secolo, cod. 2810, Biblioteca nazionale, Parigi

Inganni rinascimentali

La caccia all’unicorno si protrasse sino all’età umanistico-rinascimentale, quando le fantomatiche corna di unicorno iniziarono a essere messe in mostra nelle farmacie e soprattutto nelle cosiddette “camere delle meraviglie” (Wunderkammer), ambienti in cui venivano esibiti oggetti straordinari.

In verità, nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di zanne di narvalo, cetaceo dotato di un dente a

struttura elicoidale lungo fino a tre metri; tali zanne venivano spacciate per corna di unicorni dai mercanti, che se le facevano pagare a peso d’oro.

Frans Francken il Giovane, Camera dell’arte e delle rarità, 1636, Kunsthistorisches Museum, Vienna

L’unicorno tra scienza e verità

Il primo a dimostrare che le corna esposte nelle camere delle meraviglie rinascimentali fossero denti di narvalo è stato lo zoologo danese Ole Worm (1588-1654) nel 1638, in piena Rivoluzione scientifica.

I tempi ormai erano cambiati: con l’affermarsi della scienza moderna, l’unicorno cominciò a uscire dai bestiari per entrare nelle prime opere di sistematica naturalistica, dalle quali pure sarebbe stato ben presto escluso a causa dell’impossibilità di rintracciare un esemplare (va comunque specificato che, almeno fino alla metà dell’Ottocento, nei trattati di scienze naturali e zoologia si continuarono ad affiancare ad animali reali anche animali fantastici e leggendari).

Nel 1827, il naturalista francese Georges Cuvier (1769-1832), padre del catastrofismo, affermò l’impossibilità dell’esistenza di un mammifero perissodattilo con un unico corno frontale: la caccia all’unicorno veniva bruscamente interrotta.

Raffigurazione di un monocero (dal greco, “un solo corno”) tratta dalla Historiae Animalium (1551) di Conrad Gesner (1516-1565); il monocero è una creatura leggendaria solitamente sovrapposta all’unicorno, per via dello stesso significato dei loro nomi

Pagine di letteratura

Ciò non toglie il fatto che l’unicorno abbia continuato a esercitare una notevole influenza sull’immaginario collettivo e che la sua leggenda sia sopravvissuta nelle pagine della letteratura europea e mondiale.

Jorge Luis Borges (1899-1986), per esempio, cita l’unicorno nel Manuale di zoologia fantastica, scritto con la collaborazione di Margarita Guerrero e pubblicato nel 1969 nella versione definitiva con il titolo Il libro degli esseri immaginari.

Come tutte le creature leggendarie, l’unicorno ha goduto e gode di una grande fortuna nella letteratura fantasy di ogni tempo: la Rowling lo inserisce nella saga di Harry Potter e gli attribuisce particolari proprietà magiche (il sangue di unicorno avrebbe il potere di rendere immortali tutti coloro che lo bevono); viene citato anche nello pseudobiblion Gli animali fantastici: dove trovarli, in cui viene classificato come “pericoloso” e “trattabile da un mago esperto”.

E così i riferimenti letterari all’unicorno, l’utilizzo della sua immagine per scopi pubblicitari, il fatto che sia divenuto simbolo della cultura pop grazie ai social network rivelano quanto il fascino di questa creatura leggendaria sia ben lontano dall’esaurirsi.

Raffigurazione tratta da un’edizione illustrata de Gli animali fantastici: dove trovarli in lingua originale

Immagine di copertina: Domenico Zampieri detto il Domenichino, Vergine con unicorno, 1602 circa, Palazzo Farnese, Roma

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