Lo stile dei libri di Harry Potter, si sa, non è uniforme, bensì subisce un crescendo man mano che la trama avanza. L’adattamento cinematografico, come vedremo, segue lo stesso percorso.
Quando Harry Potter e la Pietra Filosofale venne pubblicato nel lontano 1997, era lampante che il suo target fosse un pubblico molto giovane. Infatti, il registro di scrittura è semplice e scorrevole, così come la trama, che può addirittura considerarsi autoconclusiva. Lo stesso discorso vale per la Camera dei Segreti, che rivela la sua importanza solo a posteriori.
L’intreccio della Saga diventa leggermente più complesso nel Prigioniero di Azkaban e nel Calice di Fuoco, che è anche il libro più lungo. Dal terzo libro lo stile di scrittura comincia a inspessirsi, introducendo anche un ritmo incalzante e diversi colpi di scena che, di fatto, rimarcano i legami tra un libro e l’altro.
Ma è con l’Ordine della Fenice che si ha una vera e propria svolta. Dal quinto libro J.K. Rowling affronta in maniera decisa temi come la morte, l’amore, l’adolescenza, la paternità, “la scelta tra ciò che è giusto e ciò che è semplice”. Insieme all’importanza di registro e temi cambia l’atmosfera di ogni libro, sale la tensione che permea la storia e muta completamente il suo target di riferimento, adattandosi a un pubblico, questa volta, anche adulto.
Dopo questa premessa è possibile intuire quale discorso ruota intorno all’adattamento cinematografico. Ma vale la pena di analizzarlo più nel dettaglio.
Chris Columbus: uno stile semplicemente magico
Nel 2001 uscì al cinema Harry Potter e la Pietra Filosofale, dalla regia di Chris Columbus. La grande responsabilità della pellicola consisteva non solo nel soddisfare i piccoli (e grandi) lettori che avrebbero assistito alla trasposizione, ma anche nell’attrarre nuovo pubblico e fidelizzarlo. Fino a quell’anno erano stati pubblicati i primi quattro libri della Saga, che avevano già riscosso molto successo benché la storia fosse ancora incompleta.
Come abbiamo detto, il target dei primi libri è un pubblico molto giovane e le atmosfere spensierate e leggere. Serviva, perciò, un regista che avrebbe saputo creare un ambiente luminoso e magico, che avrebbe saputo tradurre in immagini la magia delle parole della Rowling.
Probabilmente, non c’è uomo, donna o bambino che, almeno una volta, non abbia visto Mamma, ho perso l’aereo. È ormai diventato un tormentone, che si ripresenta, specialmente nel periodo di Natale, fin dal 1990. Inoltre, che dire di Mrs. Doubtfire, l’unica tata che qualunque bambino sarebbe stato contento di avere fin dal 1993? E questi sono solo due dei titoli che Chris Columbus ha diretto. Non molti sanno che, nel 1985, è stato lo sceneggiatore di un fortunatissimo film d’avventura per ragazzi diventato un cult: I Goonies. Ognuno di questi film ha saputo suscitare l’interesse di tutti indiscriminatamente e proprio per questo si poteva ben prevedere che, alla regia di Harry Potter, il successo sarebbe stato assicurato.
Quando si chiede quale film della saga si preferisca, una grandissima parte del fandom risponde “i primi due”. La motivazione non è sempre “perché è l’inizio della magia”. Ciò che è rimasto nel cuore di molti sono proprio le scenografie imponenti e la fotografia ricca di luce e colore, oltre a una musica che tocca il cuore. Si può ben dire, perciò, che la scelta di Chris Columbus si sia rivelata vincente.
Alfonso Cuarón: la firma dell’autore
Nel 2004 esce nelle sale Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban. Se per i primi due film colori sgargianti e ambienti luminosi erano stati scelte azzeccate, con l’introduzione di argomenti come omicidio, tradimento e prigionia avrebbero decisamente stonato.
Con uno sguardo attento alla trama del terzo libro si possono rintracciare temi importanti come la discriminazione nel personaggio di Remus Lupin o la depressione nelle figure dei Dissennatori. Lo stile del film, di conseguenza, doveva assumere toni più cupi e gravi, senza però risultare eccessivamente appesantiti. Nel panorama cinematografico, a quel punto, erano diversi i registi che si distinguevano. Uno in particolare si era già confrontato, con esiti positivi, con temi importanti (come l’AIDS) e adattamenti cinematografici di opere letterarie: Alfonso Cuarón.
La cosa che per prima salta all’occhio nell’analisi delle sue opere è la cura del dettaglio. È largamente riconosciuto, ad esempio, che i personaggi del terzo film abbiano acquisito molta più naturalezza e aderenza a quelli della saga letteraria. Ciò grazie anche al cambio delle pettinature, per dirne una, o ai costumi: le divise scomposte piuttosto che perfettamente ordinate, l’utilizzo di un abbigliamento casual in corrispondenza dei momenti di libertà. Per non menzionare i particolari come la grandine nel viaggio verso Hogwarts in corrispondenza dell’arrivo dei Dissennatori, oppure la scelta del dito mancante di Peter Minus.
Si vedono le influenze di una vasta cultura cinematografica nella scelta dei colori che prevalgono: sembra aleggi sul film un’ombra costante, che nutre l’atmosfera di crescente tensione, favorita anche da colori pastello e tonalità pallide. Si nota in pieno l’attinenza allo stile di un altro grande regista, Guillermo del Toro, suo connazionale.
Nel complesso, il terzo film risulta uno dei migliori della saga. Dopotutto, se la stessa Rowling ha dichiarato di averlo apprezzato particolarmente un motivo ci sarà!
Mike Newell: il regista di mezzo
Harry Potter e il Calice di Fuoco, uscito nel 2005 con la regia di Mike Newell, si può considerare un film intermedio, di passaggio, proprio come il libro da cui è tratto. È il film che sancisce il ritorno di Voldemort e in cui si verifica la prima delle morti più rilevanti, perciò, smette definitivamente di essere adatto all’atmosfera tutto sommato leggera dei precedenti. Ma ancora non siamo nel pieno del dramma, che caratterizzerà le produzioni successive. Oltretutto, il fandom era già stato sconvolto dalla morte di Sirius nel libro dell’Ordine della Fenice, uscito poco tempo prima. Il compito di Newell, quindi, non risultò affatto semplice.
Dopo la fotografia romantica di Cuarón, lo stile di Newell appare un piacevole ritorno ai caratteri vividi dei primi film con tonalità scure adatte ad anticipare lo svolgimento della trama. A livello di costumi, Newell ha avuto la possibilità di sbizzarrirsi in alcune scene, come la Coppa del Mondo di Quidditch, l’arrivo dei ragazzi di Beauxbatons e Durmstrang a Hogwarts e, soprattutto, durante il Ballo del Ceppo. Quindi, ha potuto giocare con i toni e apporre delle variazioni in base al diverso contesto.
Per quanto riguarda la recitazione, si è di fronte a una notevole libertà espressiva da parte di tutto il cast. Il Silente calmo e pacato dei film precedenti, per esempio, lascia il posto a un’interpretazione visibilmente più energica di Michael Gambon, che può sembrare out of character, ma la rende comunque più incisiva. Si assiste, inoltre, alla grande collaborazione tra Brendan Gleeson e David Tennant, che hanno avuto il compito di interpretare Barty Crouch Jr e Malocchio Moody.
Nel complesso, tutto il film accompagna sapientemente lo spettatore nella transizione dall’infanzia a quella che è, inequivocabilmente, l’adolescenza di Harry.
David Yates: il contestatissimo stile blockbuster
Dal 2007 in poi le redini della saga cinematografica vengono affidate alle mani di David Yates. Fino a quel momento quest’ultimo non aveva avuto grandi esperienze nel cinema, quanto piuttosto aveva lavorato per la televisione (la BBC). C’è però da dire che, a quel punto, la fortuna della saga era ormai un punto fermo. Si poteva correre, perciò, il rischio di non affidarsi a un grande autore per il suo proseguimento.
Fin da Harry Potter e l’Ordine della Fenice risulta chiaro che lo stile scelto da Yates per la realizzazione dei film sarebbe stata quella del blockbuster. I fuochi d’artificio il giorno della fuga da Hogwarts dei gemelli Weasley, la scena in cui Silente respinge gli Inferi dopo aver preso il finto Horcrux, l’intera Battaglia di Hogwarts… Tutti esempi della spettacolarità che permea i film dal quinto in poi.
La fotografia è, come giusto che sia, molto scura. Dopotutto, dalla resurrezione di Voldemort il clima di ogni libro diventa teso e negativo. Anche le riprese negli esterni di Harry Potter e i Doni della Morte – parte 1 appaiono piuttosto opache e smorzate, prediligendo interni dalle luci soffuse e colori non troppo vivaci.
Ciò che salta più all’occhio degli ultimi film sono le modifiche consistenti apportate alla trama. In quel caso tendiamo sempre ad incolpare Yates. In realtà, la “colpa” non è sua, bensì di Steve Kloves, sceneggiatore di tutti i film (tranne il quinto). I motivi che lo hanno portato a fare questi cambiamenti possono essere molteplici. Ciò che non bisogna mai perdere di vista è l’imprescindibile differenza che ci deve essere tra i due linguaggi (cinematografico e letterario). Ad esempio, una delle sequenze più contestate è quella del combattimento finale tra Harry e Voldemort: abbiamo tentato di darne un’interpretazione in questo articolo.
Per concludere, si può raffigurare lo stile dei film di Harry Potter come un viaggio. Un ulteriore viaggio a toni di luce e di magia, che ci accompagna dall’inizio fin proprio alla fine.